Una storia a lieto fine
Un abbraccio di gratitudine che ti rimette al mondo. Il gesto di un bacio sulla fronte. La parola “grazie” ripetuta decine di volte. Queste sono le prime cose che mi vengono in mente quando penso ad A.
Ricordo ancora la prima volta che l’ho incontrato, una mattina di gennaio allo Sportello Sanitario dell’associazione Cittadini del Mondo ODV: è un uomo somalo sulla quarantina, non parla una parola di italiano, entra accompagnato da un amico che dovrebbe fargli da interprete – ma in realtà non è ben comprensibile nemmeno lui, ci auguriamo che almeno capisca bene per tradurre ciò che diciamo noi…
A. sembra essere qui per un mal di gola, ha la faringe arrossata, ma ciò che richiama la mia attenzione è lo stato generale della bocca e il pessimo stato di dentizione. Alle mie domande risponde che in effetti gli sanguinano le gengive e dichiara di essere già seguito da un odontoiatra. Sarà vero? Ma soprattutto, ha capito cosa sto chiedendo?
Ha un occhio rosso e la pressione arteriosa alta. Non sappiamo da quanto tempo abbia valori non controllati ma erano stati notati già tre mesi prima ad una nostra visita, quando si consigliavano cambiamenti alimentari, di stile di vita e una terapia farmacologica. Bisogna assolutamente valutare i possibili danni e prevenirne altri, per cui le visite e gli esami strumentali vengono prenotati con Giada, una mediatrice culturale volontaria dell’associazione che per mesi è venuta il mercoledì pomeriggio ad aiutare i pazienti a destreggiarsi col Cup regionale e ad insegnare loro come fare lo spelling del proprio nome e cognome… Un aiuto incredibile che sarebbe utile e bello avere costantemente, speriamo in futuro di poter proporre di nuovo questo servizio.
Alla visita cardiologica programmata A. va da solo e il referto che ci consegna ripete più volte “barriere linguistiche”, “indefinito”, “non comprensibile” e così via. Per fortuna viene registrato un ECG nella norma e all’ecocardiogramma si rilevano soltanto delle lievi insufficienze valvolari, dunque le funzioni del cuore sono conservate. Anche in questa visita la pressione misurata è sopra la norma, ma – sempre per gli ostacoli comunicativi – non gli viene data alcuna indicazione sul da farsi.
È una prassi per i nostri pazienti che, dopo i ricoveri o le visite specialistiche, ricevano uno, due o una montagna di fogli di cui non capiscono una parola, e che poi vengano da noi allo Sportello Sanitario.
La scena tipica: il paziente entra, appoggia la pila di carte sulla scrivania, si siede e ci guarda. Succede che alla domanda “hai capito cosa ti hanno detto?” la risposta è quasi sempre no; ma anche “hai comprato le medicine che ti hanno prescritto?”, a cui segue uno sguardo smarrito e un timido “quali medicine?”
È chiaro che la responsabilità di queste situazioni se la dividano sia i colleghi più frettolosi che i pazienti più sprovveduti. Il sistema pubblico è al collasso, obbliga a visitare col cronometro, perché altrimenti gli appuntamenti-lampo si accumulano: non sforare il budget è una priorità rispetto al diritto alla salute delle persone che usufruiscono del servizio.
Con valori del genere non si può continuare, chiediamo ad A. di compilare un diario pressorio: gli insegno a misurarsi la pressione da solo e come scrivere ordinatamente i numeri che registra ogni mattina. Gli chiedo se ha già a casa la macchinetta per misurare la pressione e mi dice di sì. Tuttavia, il giorno dopo passa all’ambulatorio per chiedermi conferma se lo sfigmomanometro che ha comprato in farmacia vada bene… “Mannaggia”, gli dico, “te l’avrei potuto regalare io, te lo avevo chiesto apposta”, e lui mi risponde sorridendo che non aveva capito ma che va bene così.
Comunque, onde evitare che l’esperienza della visita cardiologica si ripeta, ribadiamo il fatto che A. debba necessariamente farsi accompagnare da qualche amico che parla italiano quando va dai dottori e, per sicurezza, spendo un po’ più di tempo per scrivere e consegnargli una breve lettera “di presentazione” che può essergli d’aiuto in caso di emergenza.
Tuttavia, un po’ di incomprensione è stata, involontariamente, causata anche da A.: ci credete che alla prima visita successiva (dall’oculista) è andato da solo lasciando tutti i suoi “fogli” a casa?! Perché “quelli erano per il cardiologo” mi dice limpidamente. Argh! Queste sono le volte in cui ti cadono le braccia! E capisco che anche stavolta nulla è stato chiaro tra loro, perché il referto dello specialista suggerisce di inviare il paziente alla cardiologia.
Sembra di stare su una barca e remare con fatica contro corrente, in mezzo a un mare di specialisti in tempesta, mentre lui ci guarda con espressione smarrita. Ma almeno il collirio ha funzionato e gli occhi di A. sono tornati bianchi e ignari come sempre.
Il diario conferma che la terapia non è ancora sufficiente, per cui si aumenta un po’ la posologia… Tuttavia, sembra che stavolta sia troppo, perché dopo una settimana torna allo Sportello Sanitario con edema degli arti inferiori e segno della fovea positivo, effetto collaterale tipico della classe di farmaci che stiamo usando, e la pressione molto bassa. Approfittiamo dell’ecografo presente in ambulatorio per controllare il fegato, scongiurando possibili scompensi, e alla svestizione mi accorgo di un numero considerevole di cicatrici sull’addome. “Sono di quando ero piccolo, in Somalia” mi racconta.
Riduciamo leggermente il dosaggio per trovare quello perfetto per lui, visto che finora aveva tollerato bene la medicina. La pressione torna nel range ottimale e l’edema alle gambe scompare. Ora manca solo una cosa da fare: l’iter burocratico per ottenere l’esenzione del ticket per la patologia ipertensiva, che comincia con un consulto cardiologico pubblico che certifichi la diagnosi.
Ci rimango male quando torna da me e mi racconta che la collega non l’ha nemmeno visitato, ha letto la mia lettera, ha preso un foglio, scritto due righe, ci ha messo un timbro e l’ha mandato via. Mi lascia l’amaro in bocca che un orecchio così fine non abbia dedicato un misero minuto a sentire il ritmo cardiaco di A. e che non gli abbia neanche misurato la pressione.
Ma quanto è bello quando arriva da noi sventolando il foglio della ASL con l’esenzione 031 come fosse una bandiera del traguardo! Mi abbraccia spontaneamente e il modo in cui mi stringe mi sorprende, si sente che è grato nei nostri confronti perché qualcuno si sta prendendo cura di lui.
Ha iniziato anche ad andare alla nostra Scuola di Italiano gratuita, e mi auguro che le cose per lui vadano migliorando sempre di più.
È stata una lunga traversata, ma ce l’abbiamo fatta.
Questo lavoro è faticoso, è emotivamente impegnativo, ti sa prosciugare, a volte è frustrante per la poca compliance e collaborazione dei pazienti e degli altri medici… Ma toccare con mano l’impatto che ha sulla vita delle persone mi riempie anche di una gioia immensa, di speranza, ed è estremamente, estremamente gratificante.
Se penso al lavoro che voglio fare per tutta la mia vita, penso che qualunque lavoro sia, mi voglio sentire per sempre così.
A cura della dott.ssa Luisa Perfetto