Disagio mentale e Covid-19
A un anno dallo scoppio della pandemia di Covid-19 ci troviamo ancora in pieno stato d’emergenza. È un’emergenza prolungata nel tempo ed estesa a livello globale e un’estensione così straordinaria non può che avere un impatto di inedita portata, con effetti a cascata e influenze reciproche, sul piano sanitario, economico, sociale, psicologico e culturale. L’impegno dei medici di Cittadini del Mondo è orientato a promuovere e ristabilire lo stato di salute dei pazienti più vulnerabili e in quest’epoca Covid-19 abbiamo notato un aumento della fragilità in termini di salute mentale.
La produzione scientifica sulla pandemia fa numeri eccezionali. A un anno dalla diffusione del virus se si digita la parola “covid” su Pubmed, uno dei più noti e utilizzati motori di ricerca di letteratura biomedica, il numero di articoli supera i 100.000. L’andamento delle pubblicazioni sin dall’inizio dello scorso anno è stato esplosivo visto l’argomento di grande interesse sociale ma a differenza di una prima fase in cui dominavano analisi qualitative, commenti e ipotesi, per mancanza di riferimenti precedenti e di tempo che permettesse analisi di tipo quantitativo, adesso gli studi scientifici hanno la possibilità di attingere ai dati finora acquisiti e dovrebbero utilizzare maggiormente metodologie quantitative.
Avendo a disposizione più tempo, si acquisiscono più dati, e quindi più conoscenza. Si è scritto molto anche su Covid-19 e salute mentale: fino al 16 febbraio le pubblicazioni censite su Pubmed risultavano più di 5.700, di cui circa 1.200 solo nei mesi di gennaio e febbraio 2021. Appare evidente che il trend di interesse sull’argomento è in aumento e, seppur rimane una certa ambiguità sul numero di pubblicazioni propriamente attendibili e rigorose secondo i canoni della letteratura scientifica formale, questa tendenza ha le sue fondamenta nell’opinione pubblica e ha un suo peso sulle politiche attuali e future, essendo in grado di influenzare e spingere le istituzioni pubbliche a migliorare i servizi di salute mentale disponibili per la popolazione.
Per poter capire appieno gli effetti della pandemia sulla nostra psiche è necessario sottoporre ogni azione umana individuale e collettiva ad attenta osservazione e analisi. La pandemia ha il peso di un evento catastrofico e, come ogni catastrofe, comporta uno sconvolgimento del nostro ambiente naturale e sociale e uno stravolgimento del nostro mondo interiore trasformando il nostro modo di pensare e di comportarci. Non per forza tutto ciò che si discosta dal normale rientra in una condizione patologica ma può rappresentare una risposta adattativa per far fronte all’emergenza. Paura, immobilità, lotta o fuga fanno parte del repertorio emotivo e comportamentale che l’essere umano dispiega nei momenti di stress, e consentono di affrontare le sfide, di reagire agli input esterni e di adattarsi ai cambiamenti improvvisi. Il fattore tempo assume importanza centrale: se l’evento stressante è intenso e/o si protrae a lungo si innescano dei meccanismi neurobiologici che hanno effetti negativi sulla salute individuale.
Le caratteristiche della pandemia che stiamo vivendo, sia per intensità che per durata, soddisfano entrambi i criteri per stabilire la nocività dell’evento nei confronti della nostra salute mentale e fisica. Il senso di impotenza contrasta con la voglia di tornare alla normalità, ed entrambe aumentano con il prolungarsi dello stato d’emergenza creando frustrazione.
Le gravi restrizioni imposte “a intermittenza” al movimento individuale, la crisi di senso generata e il collasso del quotidiano che ormai si protrae da un anno fanno emergere un grave senso di disagio e di incertezza che si esprimono in molteplici modi sul piano psico-patologico. Opportuna è però la differenziazione delle manifestazioni di disagio mentale tra i sottogruppi di popolazione suddivisi per età (anziani/adulti/bambini e adolescenti), per patologie (persone non affette da patologie psichiatriche/persone con patologie psichiatriche già note oppure persone non affette da Covid/persone affette da Covid in isolamento/persone affette da Covid sopravvissute alla terapia intensiva), per categorie lavorative (operatori sanitari/lavoratori in smart-working/disoccupati), per categorie socioeconomiche (persone con alto reddito/persone con basso reddito).
Differenziare aiuta ad analizzare il fenomeno in maniera obiettiva, evitando in questo modo un diffondersi del panico scatenato da slogan mediatici privi di fondamento scientifico come, ad esempio, la minaccia di una pandemia di depressione o di disturbo da stress post-traumatico in epoca Covid-19. Considerando le conseguenze psicologiche della malattia da Covid-19 bisogna distinguere le conseguenze dirette e quelle indirette.
Tra le conseguenze dirette vi è il PTSD, disturbo da stress post-traumatico il cui rischio di morbilità è differente tra i diversi sottogruppi di popolazione. Esso risulta molto elevato in determinati sottogruppi esposti al virus, come tra le persone affette da Covid-19 sopravvissute alla terapia intensiva. Sono coloro che hanno avuto un rischio di morte molto elevato ed è l’esposizione a tale rischio il fattore più importante nello sviluppo del disturbo post-traumatico da stress.
Il resto della popolazione, invece, risente perlopiù delle conseguenze psicologiche indirette legate alle misure restrittive e contenitive i cui fattori di rischio sono: l’improvvisa mancanza di un tempo quotidiano strutturato; il cambiamento del ritmo sonno/veglia; i tempi lunghi di quarantena; la diminuzione dell’attività fisica; le diete squilibrate e gli eccessi alimentari; l’aumento del tempo di esposizione allo schermo di TV, smartphone e PC; noia, inattività, improduttività; la mancanza di contatto con amici e familiari; l’esperienza del lutto; problemi di salute mentale tra i membri della famiglia con cui si è isolati o in quarantena all’interno della propria abitazione; condizioni morbose preesistenti; categorie professionali come quella di operatore sanitario. Le conseguenze sulla psiche di tutte queste condizioni sono molto variabili e dipendenti dalla soggettiva percezione determinando nella maggior parte dei casi effetti psichiatrici secondari come ansia, panico e altri disturbi legati allo stress.
Un dato invece allarmante è l’aumento esponenziale del numero delle vittime di violenza di genere nell’anno 2020 a riprova della grande variabilità degli effetti che possono sfociare in episodi di violenza.
In generale l’isolamento a cui siamo confinati per alcuni può essere particolarmente sofferto e percepito come solitudine o vero e proprio abbandono. Ad arricchire il panorama del vissuto soggettivo di isolamento, si deve anche tenere in considerazione che alcune persone si sentono sole anche se convivono in armonia o sono in contatto con il partner, la famiglia o gli amici stretti perché a mancare maggiormente nel proprio quotidiano sono invece i contatti periferici, gli incontri casuali e possibili che danno quel sapore di imprevedibilità e scoperta, che “fanno la giornata” e disinnescano la ripetitività delle reti chiuse delle conoscenze strette. Si è visto che l’aumento del numero di persone che soffrono di ansia è correlato all’aumento del tempo di esposizione a notizie relative al Covid-19.
Possibili soluzioni da adottare sono:
- strutturare il tempo quotidiano;
- aumentare l’attività fisica;
- curare l’alimentazione;
- diminuire il tempo trascorso davanti allo schermo promuovendo videochiamate e telefonate con i propri cari a discapito del tempo impiegato a ricercare notizie sul Covid-19. In altre parole, provare a trovare un nuovo equilibrio tra il restare informati senza farsi sopraffare dalle notizie e il rimanere connessi con gli altri curando le relazioni di cui l’intero sistema è messo alla prova.
Se questo non basta bisognerebbe provare con creatività a ristrutturare e riprogrammare un presente in cui si è invitati/raccomandati/obbligati a rimanere ligi alle regole e a procedere con ordine per il bene di tutta la comunità.
Però queste rimangono soluzioni inconsistenti che implicano spesso uno sforzo, anche di fantasia, che è difficile, se non impossibile, da mettere in pratica in maniera autonoma e proattiva soprattutto in condizioni di fragilità psichica. È compito dei servizi di salute mentale adattarsi ai tempi di pandemia per rispondere a nuove esigenze, come fornire assistenza agli operatori sanitari coinvolti nella battaglia contro il virus, e proporre nuove modalità di cura a tutta la popolazione nell’epoca del distanziamento sociale. E’ necessario informare sui servizi disponibili, semplificare gli accessi e diversificare le modalità di accesso e fruizione in base alle categorie di fragilità in modo da rendere gli interventi psicosociali effettivi, anche in remoto.
Un esempio di approccio innovativo in tempi Covid-19 al disagio mentale dei giovani viene proposto dal mondo digital, attraverso l’utilizzo di app e social media che garantiscono l’anonimato e la non stigmatizzazione intercettando con più facilità le situazioni di disagio psichico giovanile. Questa è una categoria che a tratti appare più vulnerabile perché esposta al senso di abbandono dato dalla chiusura delle scuole o addirittura al rischio di abusi dato dal maggior tempo trascorso faccia-a-faccia con un genitore abusante; a tratti invece appare la più resiliente perché più attiva sui social e più facilmente connessa agli altri, quindi meno predisposta alla solitudine. Anche per le altre fasce di età il ricorso alla telemedicina rimane una soluzione possibile, o l’unica soluzione, in tempi di distanziamento sociale ed è sempre più enfatizzata. Il ricorso alla telemedicina va sottoposta a valutazione critica poiché non esente da importanti limiti e svantaggi, come la minore incisività ed efficacia terapeutica rispetto all’incontro faccia-a-faccia con il medico e terapeuta. Tali punti di debolezza diventano ancora più evidenti in ambito di salute mentale: è difficilmente utilizzata da persone anziane e da persone straniere acuendo il loro senso di isolamento sociale e abbandono al proprio disagio psichico. Le modalità con cui viene utilizzata oggi non fanno delle telemedicina un’opzione universalmente utilizzabile. Per questo motivo ulteriori sforzi devono essere fatti nel proporre soluzioni differenziate per superare con urgenza l’inaccessibilità ai servizi per determinate categorie vulnerabili.
Questa riflessione sugli effetti psicologici individuali e collettivi della pandemia si propone di porre nuova attenzione alla dimensione psicologica e relazionale delle situazioni di crisi, per spingere al cambiamento e al potenziamento dei servizi socio-sanitari e psicologici offerti dalle istituzioni e dalle politiche attuali. Perché una catastrofe, con la sofferenza e la fatica che porta con sé, possa essere l’opportunità per un cambiamento in positivo che ridia gusto e significato alle cose. Perché una volta finita l’emergenza non dovremmo dimenticare ciò che non ha funzionato ma fare tesoro di questa nuova sensibilità collettiva conquistata.