Ev via cantiam!
Ecco A. che ritorna. È la quarta volta che esce di galera e ormai sembra me lo dica quasi orgogliosamente?! Si presenta come sempre scoordinato, in preda ai suoi cento tic, si tocca naso, genitali e tutto quel che è sulla mia scrivania: incontenibile. Cerco di arginarlo.
Mi dice che non ha fatto il vaccino per il Covid, si sistema la mascherina guardandomi con quegli occhi gentili, tanto neri su bianco, e chiede scusa, ma poi continua a parlare, parlare, straparlare, e in poco tempo ricomincia lo stesso disco che mi ricorda un vinile incantato… E io, come lo stesso vinile apro un altro giro, ripeto “Non vedo le tue medicine fondamentali” e rispiego che le deve prendere o le sue allucinazioni ritornano, e gli dico che non deve bere alcol. Contemporaneamente ascolto le sue novità, che però sono uguali a quelle che mi è venuto a raccontare anche la prima, la seconda e la terza volta dopo il carcere.
Ora è ripulito, ha dei discreti vestiti, per qualche settimana lo hanno ospitato degli amici in una ennesima occupazione, qualcuno gli ha fornito qualche soldo e così potrà sopravvivere per qualche tempo. Purtroppo so già che questa storia non avrà un buon finale.
Questa volta ha anche un foglio di accompagnamento della Caritas in cui scrivono “Cara Donatella, ti inviamo il paziente in quanto sappiamo che lo conosci già…” Non riconosco chi me lo stia inviando, mi sembra una presa in giro, sicuramente anche loro non sanno che fare con A., e come il gioco a rimpiattino lo hanno fatto saltare fuori dal loro sportello. Cosa posso fare io?
Uno psicotico non può vivere senza un reddito e un alloggio fisso, e senza un operatore che lo segue e lo accudisce.
Mi ritorna in mente quella volta in cui lo avevo coinvolto in un corso di italiano e musica, e i maestri cercavano di far capire le parole con una canzone: lui ha fatto un casino finché non lo hanno fatto parlare, perché aveva trovato il significato di evvia “…io abito in via…” e rideva contentissimo della sua scoperta.